In Turchia è inevitabile, prima o poi, imbattersi in una manifattura di tappeti. Esistono delle cooperative e delle scuole governative che tramandano quest'arte, ma sono soprattutto le donne, nelle loro case, a lavorare ai telai e a mantenere viva questa tradizione, che nasce dalla necessità di un arredo nomade, che si possa portare con sè in ogni spostamento.
La tessitura dei tappeti turchi avviene su telai verticali, in genere metallici. Il telaio ha la misura del tappeto finito e l'ordito è un grande anello che fa il giro attorno al subbio superiore e inferiore e viene spostato man mano che il lavoro procede. C'è un sistema di tensionamento che viene allentato per favorire l'avanzamento del tappeto già fatto verso il basso, così da consentire alla tessitrice di avere sempre la zona da lavorare davanti alle proprie mani.
L'ordito può essere di lana o di cotone, secondo il tipo di tappeto; il colore è comunque bianco.
Nella parte alta del telaio sono sistemate delle matasse o delle rocche del filato usato per la trama, nei vari colori necessari. Ogni due passaggi di tela si fa una fila di nodi, seguendo il disegno sistemato vicino al lavoro.
Il nodo usato è il nodo "ghiordes" o turco, che dà ai tappeti una grande resistenza all'usura.
A scuola ho imparato anch'io questo nodo, che in Scandinavia viene chiamato "rya"; nella versione scolastica e in quella del nodo "rya" si tagliano dei pezzetti di filo che poi si usano per fare il nodo, mentre le tessitrici turche usano il filo prendendone un capo direttamente dalla rocca o dal gomitolo, fanno poi il movimento del nodo attorno a due fili di ordito e poi, con un coltello che tengono nella mano, tagliano il filo dal gomitolo e proseguono a fare il nodo successivo allo stesso modo. Sono velocissime, sia nel fare i nodi, sia nel seguire il disegno cambiando colore di volta in volta, però per fare un tappeto ci vogliono milioni di nodi e servono perciò mesi, se non anni, per completarne uno!
Terminata la fila dei nodi, questi vengono battuti con un pettine (nella foto è lo strumento a sinistra sulla panca) e poi il "pelo" viene pareggiato con delle grosse forbici.
La trama può essere di lana, di cotone mercerizzato (ha un colore brillante e somiglia alla seta, ma è più grossolano), o, per i tappeti più pregiati, di seta.
Un curiosità: il nodo "ghiordes" sembrerebbe avere una parentela con il "nodo gordiano" della mitologia (non ho trovato conferme, ma un ripasso della storia fa sempre bene...)
domenica 31 ottobre 2010
giovedì 21 ottobre 2010
I tessitori di Van Gogh
Non molti artisti si sono interessati al tema della tessitura.
In passato vedere donne a uomini intenti al lavoro sul telaio era talmente comune da non suscitare particolare interesse, così abbiamo poche testimonianze figurative.
Un artista, però, rimase affascinato dal lavoro dei tessitori olandesi nel buio delle loro case, e indagò a lungo questo tema, sottolineando la fatica e l'attenzione necessari a questo lavoro così umile e quotidiano.
Sono tessitori di cose semplici, forse di comunissima tela per la biancheria, come sembra indicare la presenza di due soli licci; i telai sono descritti con precisione, come gli oggetti che li circondano, la scopa di saggina e il seggiolone del bambino. La luce è poca ed entra da piccole finestre che rischiarano appena i colori bruni e opachi di questi interni poveri ma dignitosi.
Questo artista sarà più conosciuto per l'esplosione solare dei suoi iris e dei suoi girasoli, per i contrasti violenti dei blu e dei gialli dell'amato Midi, ma agli esordi sono le povere vite dei contadini olandesi e dei minatori belgi a catturare la sua attenzione di predicatore appassionato e di pittore ancora dilettante.
Questo artista si chiama Vincent Van Gogh.
Su una parete sono raccolti dipinti di tessitori e filatrici, in un angolo dove pochi si fermano ad osservare e dove passano sotto silenzio anche i refusi di chi ha sbagliato a scrivere i cartellini. Nelle stanzette dei tessitori si sente solo il clic-clac del pettine che batte e neppure il bimbo nel seggiolone fa i capricci. Non arrivano il chiasso delle scolaresche e l'inquetudine delle persone in coda alla biglietteria; quelli che vogliono esserci a tutti i costi - perché questa è la mostra dell'anno - cercano invano vasi di girasoli e notti stellate, e si perdono la magia di questi piccoli capolavori.
Ma a saper fare silenzio si sente soltanto clic-clac.
Clic-clac.
In passato vedere donne a uomini intenti al lavoro sul telaio era talmente comune da non suscitare particolare interesse, così abbiamo poche testimonianze figurative.
Un artista, però, rimase affascinato dal lavoro dei tessitori olandesi nel buio delle loro case, e indagò a lungo questo tema, sottolineando la fatica e l'attenzione necessari a questo lavoro così umile e quotidiano.
Sono tessitori di cose semplici, forse di comunissima tela per la biancheria, come sembra indicare la presenza di due soli licci; i telai sono descritti con precisione, come gli oggetti che li circondano, la scopa di saggina e il seggiolone del bambino. La luce è poca ed entra da piccole finestre che rischiarano appena i colori bruni e opachi di questi interni poveri ma dignitosi.
Questo artista sarà più conosciuto per l'esplosione solare dei suoi iris e dei suoi girasoli, per i contrasti violenti dei blu e dei gialli dell'amato Midi, ma agli esordi sono le povere vite dei contadini olandesi e dei minatori belgi a catturare la sua attenzione di predicatore appassionato e di pittore ancora dilettante.
Questo artista si chiama Vincent Van Gogh.
Su una parete sono raccolti dipinti di tessitori e filatrici, in un angolo dove pochi si fermano ad osservare e dove passano sotto silenzio anche i refusi di chi ha sbagliato a scrivere i cartellini. Nelle stanzette dei tessitori si sente solo il clic-clac del pettine che batte e neppure il bimbo nel seggiolone fa i capricci. Non arrivano il chiasso delle scolaresche e l'inquetudine delle persone in coda alla biglietteria; quelli che vogliono esserci a tutti i costi - perché questa è la mostra dell'anno - cercano invano vasi di girasoli e notti stellate, e si perdono la magia di questi piccoli capolavori.
Ma a saper fare silenzio si sente soltanto clic-clac.
Clic-clac.
mercoledì 20 ottobre 2010
Turchia
Quest'anno devo dire che in fatto di viaggi sono stata fortunata: ne ho fatti molti più della mia solita media (e mi auguro in futuro di poter "battere" o almeno eguagliare questo... record!)
Ieri sono tornata dalla Turchia, un concentrato di storia, arte, culture, colori, natura e, ovviamente, tappeti!
L'atmosfera delle moschee affascina con le decorazioni fatte di parole e di luce.
La Cappadocia con i suoi "camini delle fate" è un luogo magico che nessuna foto può descrivere adeguatamente.
Nel bazar di Istanbul ci si può perdere e ubriacare di colori.
Senza contare che la Turchia è la patria dei tappeti annodati col nodo "ghiordes", della lana d'angora (dal nome della città di Ankara), di sterminate coltivazioni di cotone che in questo periodo mostravano gli ultimissimi fiocchi bianchi!
Ieri sono tornata dalla Turchia, un concentrato di storia, arte, culture, colori, natura e, ovviamente, tappeti!
L'atmosfera delle moschee affascina con le decorazioni fatte di parole e di luce.
La Cappadocia con i suoi "camini delle fate" è un luogo magico che nessuna foto può descrivere adeguatamente.
Nel bazar di Istanbul ci si può perdere e ubriacare di colori.
Senza contare che la Turchia è la patria dei tappeti annodati col nodo "ghiordes", della lana d'angora (dal nome della città di Ankara), di sterminate coltivazioni di cotone che in questo periodo mostravano gli ultimissimi fiocchi bianchi!
giovedì 7 ottobre 2010
Vita da sciarpa
I giorni di Leumann, credo di averlo già detto, sono stati speciali.
C'erano lavori bellissimi da ammirare e tecniche da "rubare" con gli occhi, materiali da toccare, persone con cui scambiare esperienze piccole e grandi.
Poi, per me, c'è stato un avvenimento sperato, ma sorprendente: a Leumann ho venduto la mia prima sciarpa.
Non è certo il primo lavoro da cui mi separo: ce ne sono diversi in giro, regalati a parenti ed amici. Ma questa è un'altra cosa. E un'altra emozione.
Non c'è l'affetto della mamma o di un'amica che ti dicono "è bellissimo, grazie" e neppure l'orgoglio di mio padre che d'inverno gira con la sciarpa a cui non ha mai tolto la targhetta dove avevo scritto (quasi per scherzo) "fatta a mano", per poter dire a tutti che quella sciarpa lì, eh sì, l'ha proprio fatta sua figlia...
C'è qualcosa di profondamente diverso, in una cosa venduta ad un estraneo.
Quando qualcuno si ferma a guardare il tuo lavoro, tocca, prova, chiede informazioni, non lo fa per compiacerti, ma perchè qualcosa lo ha incuriosito, o gli è piaciuto. E già ti senti gratificata così, è un complimento senza parole. Poi qualcuno usa un po' di denaro - che potrebbe utilizzare in mille altri modi - per acquistare proprio quella sciarpa fatta da te; e lo fa perchè la vuole per sè, perchè gli è sembrata la più bella, la più morbida, la più adatta. Ne ha viste tante, ma sceglie proprio quella.
Quella sciarpa, che conoscevo così bene fin da quando era solo un gomitolo, ora se ne andrà a spasso per Torino e chissà dove ancora. Una mano la prenderà al volo prima di uscire di casa e sarà attorcigliata, annodata, drappeggiata... su una giacca o su un cappotto?, resterà in attesa su un attaccapanni, cadrà in terra, sarà lavata con cura, sarà affidata al guardaroba del teatro o infilata a forza nella borsa. Riparerà dal primo raffreddore di stagione, sarà dimenticata e poi ritrovata. Profumerà come chi la porta e d'inverno prenderà l'odore fragrante del caminetto; qualche frangia rimarrà chiusa nello sportello, un filo si impiglierà ad un bottone, una macchiolina ricorderà il buon caffè preso con un'amica...
Vivrà la sua vita, al collo della persona gentile che mi ha fatto il grande regalo di scegliere proprio lei.
C'erano lavori bellissimi da ammirare e tecniche da "rubare" con gli occhi, materiali da toccare, persone con cui scambiare esperienze piccole e grandi.
Poi, per me, c'è stato un avvenimento sperato, ma sorprendente: a Leumann ho venduto la mia prima sciarpa.
Non è certo il primo lavoro da cui mi separo: ce ne sono diversi in giro, regalati a parenti ed amici. Ma questa è un'altra cosa. E un'altra emozione.
Non c'è l'affetto della mamma o di un'amica che ti dicono "è bellissimo, grazie" e neppure l'orgoglio di mio padre che d'inverno gira con la sciarpa a cui non ha mai tolto la targhetta dove avevo scritto (quasi per scherzo) "fatta a mano", per poter dire a tutti che quella sciarpa lì, eh sì, l'ha proprio fatta sua figlia...
C'è qualcosa di profondamente diverso, in una cosa venduta ad un estraneo.
Quando qualcuno si ferma a guardare il tuo lavoro, tocca, prova, chiede informazioni, non lo fa per compiacerti, ma perchè qualcosa lo ha incuriosito, o gli è piaciuto. E già ti senti gratificata così, è un complimento senza parole. Poi qualcuno usa un po' di denaro - che potrebbe utilizzare in mille altri modi - per acquistare proprio quella sciarpa fatta da te; e lo fa perchè la vuole per sè, perchè gli è sembrata la più bella, la più morbida, la più adatta. Ne ha viste tante, ma sceglie proprio quella.
Quella sciarpa, che conoscevo così bene fin da quando era solo un gomitolo, ora se ne andrà a spasso per Torino e chissà dove ancora. Una mano la prenderà al volo prima di uscire di casa e sarà attorcigliata, annodata, drappeggiata... su una giacca o su un cappotto?, resterà in attesa su un attaccapanni, cadrà in terra, sarà lavata con cura, sarà affidata al guardaroba del teatro o infilata a forza nella borsa. Riparerà dal primo raffreddore di stagione, sarà dimenticata e poi ritrovata. Profumerà come chi la porta e d'inverno prenderà l'odore fragrante del caminetto; qualche frangia rimarrà chiusa nello sportello, un filo si impiglierà ad un bottone, una macchiolina ricorderà il buon caffè preso con un'amica...
Vivrà la sua vita, al collo della persona gentile che mi ha fatto il grande regalo di scegliere proprio lei.
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